venerdì 4 gennaio 2019

The Master di Paul Thomas Anderson. 2012

Ho riguardato The Master perchè ha una fotografia eccelsa, ricca di luce calda che sfiora il viso dei personaggi. E'girato interamente con una macchina da presa da 65/70mm e questo lo rende un'esperienza visiva irripetibile e contemporanea. Ho guardato questa pellicola più volte negli anni per poterla apprezzare e comprendere, penso di non essere ancora giunta ad una comprensione totale. Ma la consiglio, perchè nella vita ciò che disturba ha senso. Viene descritta un'America violenta e contraddittoria, nascosta da grandi abiti ed acconciature, arredi e canzoni anni Cinquanta. L'atmosfera c'è da subito, dalla prima visione, le onde delle acconciature femminili sono psichedeiche, ossessive, catturano. La musica è di Jonny Greenwood con i suoi pizzicati e le sue "stonature", a sottolineare un continuo mood denso, sensuale e vagamente teso. Tutto ruota attorno alla relazione tra Freddie e Lancaster (i due protagonsti): al primo serve un punto di riferimento (reduce dalla seconda guerra mondiale alcolista e un po'psicotico) e al secondo serve una "cavia" (il Maestro, fondatore di Scientology, Ron Hubbard).
Nella penultima scena il Maestro gli chiede di restare, o sparire per sempre, gli rivela di aver ricordato della loro amicizia in una vita precedente; poi improvvisamente smette di parlare e canta una canzone d’amore: «Vorrei portarti su una barca in Cina, tutto per me, portarti e tenerti tra le braccia». Sembrerebbe e credo sia una scena d'amore, insieme quasi si identificano, bestie selvagge che vogliono addomesticarsi. Metafora, i protagonisti, di una società incapace di crescere ed evolversi, di rendersi libera senza la presenza di un maestro, dalla coscienza soggetta all’archetipo della guida, del modello, impossibilitata a dimenticare i peccati del passato, le colpe dei padri. Immenso, ma anche vuoto. Il bersaglio per me è mancato. O posso riprovarci con la terza visione.

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