“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
martedì 21 gennaio 2020
Jojo Rabbit di Taika Waititi. 2020
Taika Waititi è un genio. Di quegli uomini di cui diresti - descrivendoli ad un'amica per promuoverli " vai tranquilla, ci sa davvero fare", talmente tanto che in un flm su Hitler, lui sarebbe ( e lo è ) il führer.
Alla stregua di Tarantino, Wes Anderson (cito solo a caso alcuni dei registi che il suo stile mi ha ricordato)
Come gà in Bastardi senza gloria, l'orrre del nazismo non viene qui raccontato, banalmente denunciato, ma strapazzato, denigrato, ridotto a macchietta. Una beffarda ed esilarante presa in giro del regime, con battute memorabili e taglienti come lame con cui fare a pezzi il Terzo Reich.
Che ci sia una perfetta sintonia tra montaggio visivo e sonoro è da subito fin troppo chiaro: i titoli di testa scorrono a ritmo della versione tedesca di “I want to hold your hand” dei Beatles, con cittadini tedeschi urlanti in preda a isterismo compulsivo da Hitler-filia.
Nelle ambientazioni vi tornerà alla mente "Moonrise Kingdom" - dalle sequenze campestri in cui si raduna la gioventù hitleriana, agli strampalati membri della Gestapo.
Elsa è l'ebrea da nascondere, salvare, la sua mano sulla cornice della porta dietro la quale si nasconde vi ricorderà “Alien”, citazione che allude anche al condizionamento della dottrina di regime impartita: Elsa, in quanto ebrea, è un’aliena inquietante, con le corna e la coda.
Vive nella soffitta del decenne protagonista Jojo Betzer (soprannominato per codardia Rabbit), ma a insaputa del ragazzo, è la madre ( Scarlett Johansson), in realtà, che cerca di proteggerla.
Lui, come la madre stessa ci tiene a precisare, è un "nazista che vuole solo far parte di un gruppo", ossessionato dalle svastiche ma senza consapevolezza del loro significato.
Con Hitler che diventa il suo migliore amico (immaginario) che lo consiglia con una serie di gag davvero esilaranti, in un caledoscopio di emozioni, riflessioni e risate.Sberleffi contro un uomo incapace «pure di farsi crescere i baffi».
Indolenza fiabesca, surreale, magica attraverso cui metabolizzare il messaggio da lanciare: l’importanza della gentilezza, l’empatia, il saper scegliere da che parte stare.
Superlativa la chiosa, con “Heroes" di David Bowie - ancora una volta in tedesco- liberatoria. La guerra è finita, si può tornare a ballare.
Quello che a noi rimane, invece, la ferma consapevolezza che questo non è affatto il momento ideale per tornare a sentirsi nazisti.
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