lunedì 8 maggio 2017

È solo la fine del mondo di Xavier Dolan. 2016

Lingua mortal non dice quel ch'io sentiva in seno (G. Leopardi, "A Silvia") dedicato al costumista canadese François Barbeau
Tratto da una pièce del 1990 di Jean-Luc Lagarce, drammaturgo francese di successo morto di aids nel 1995, a cui il film è dedicato. Da qualche parte, poco tempo fa: con questa didascalia comincia il prologo. Louis sta tornando a casa dopo dodici anni, è in aereo, e la sua voce over dice quanto basta per presentarsi e comunicare lo scopo del suo viaggio, l’annuncio della propria morte: «Vediamo come andrà» e partono i titoli di testa. Ad accoglierlo due persone che conosce molto bene, la madre e il fratello maggiore, una che quasi non conosce, la sorella Suzanne che era piccola quando lui se n’è andato; e una che non conosce affatto, la moglie del fratello, dal momento che non è andato al matrimonio e non è stato presente alla nascita dei nipoti – il secondo porta il suo nome. Da subito Louis – e lo spettatore – viene scaraventato in un inferno domestico che si dipana come uno psicodramma. Un film breve. Solo 90 minuti. Il protagonista è malato, sta per morire. Tutti i personaggi non sanno bene cosa fare, cosa dire, tante le discussioni senza senso. Ed è soprattutto in un personaggio marginale, nella moglie del fratello maggiore, interpretata da Marion Cotillard che il film gioca gran parte della sua partita. “Dopo dodici anni di assenza, ho paura di tornare, di rivederli”, dice Louis, drammaturgo di successo. Quando Louis accarezza con dolce sensualità gli oggetti nella sua cameretta, ormai un museo in penombra di vestigia di una vita che fu, parte un flashback di un amore che fu. Proustiano e affascinantissimo, come questi pomeriggi di maggio.E allora, nel sontuoso universo neobarocco di Dolan, la morte può compiersi come accadere simbolico, sotto le sembianze di una metafora: un uccellino, rimasto prigioniero nella casa, cerca di scappare, poi muore sul tappeto appena Louis esce. Come canta nella colonna sonora la cantante parigina Camille, Home is where it hurts – e fa davvero male, molto male, anche allo spettatore

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