“Mi accorgevo di avere la pelle d’oca. Senza una ragione, dato che non avevo freddo. Era forse passato un fantasma su di noi? No, era stata la poesia. Una scintilla si era staccata dal poeta e mi aveva dato una scossa gelida. Avevo voglia di piangere; mi sentivo molto strana.Avevo scoperto un nuovo modo di essere felice.” (Sylvia Plath)
domenica 10 settembre 2017
Frantz François Ozon. 2016
Sia caldo, sia freddo. Sia poetico, sia analitico. Sia molto classico, sia sperimentale.
Adrien mente, espressione di un desiderio delicatamente omosessuale verso Franz, il protagonista, com lievi suggestioni omoerotiche. Le cicatrici di guerra nel basso ventre di Adrien sdraiato a petto nudo dopo un bagno nel lago: vita e morte quasi si equivalgono.
Adrien (uno stupendo Pierre Niney) ha tanti segreti, tra questi le sue pulsioni sessuali, infatti, preferisce tornare all’illusione ipocrita altoborghese, lasciando Anna sola ad affrontare fino in fondo la cruda realtà. Anna è capace di perdonare l’imperdonabile e di limitare l’illusione a chi non potrebbe sopravviverle (cioè gli anziani genitori di Franz): “Bisogna vivere anche per gli altri”, dice.
Ipnotiche le sequenze nel cimitero, si respira l’oltretomba, di Poe o della poesia dei Rimbaud, dei Baudelaire o dei Verlaine. L’oltretomba di Ozon ha il suo momento chiave in quella sequenza al cimitero di notte dove si recita Chanson d’automne, celebre poesia di Paul Verlaine usata anche da Radio Londra come messaggio codificato per lo sbarco in Normandia: splendido momento di cinema dove si respira in tutta la sua forza il freddo della morte di un’intera generazione, un freddo che vale ieri come oggi. Lei perdona, lui ringrazia, abbandonandola nel vuoto, perfetta rappresentazione della spietatezza del vigliacco.
Come al solito Ozon non porta premi a casa, fatta eccezione per il Mastroianni per il miglior attore giovane assegnato alla sua protagonista Paula Beer
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