martedì 27 febbraio 2018

Il filo nascosto - Paul Thomas Anderson. 2017

«se giochiamo a chi abbassa per primo gli occhi perderai sicuramente tu!»
Qual è l’ingrediente segreto capace di tenere insieme due persone? Quale quel filo nascosto capace di legare in modo così imprevedibile ciò che invece sembra destinato a non durare per sempre? Altissima sartoria cinematografica. Retrogusto noir e seducente. Una Londra borghese, di quando i traumi della “Storia” venivano ancora sublimati nello stile e quando il racconto delle “storie” era ancora assorbito dalle convenzioni. Una casa/atelier che muta forme e volumi a seconda del punto di vista. Reynolds Woodcock ha tanti segreti, li cuce nella fodera dei vestiti che crea, in modo da rendere l’arte indelebilmente sua. Un po’ come il regista Paul Thomas Anderson, che nel titolo di questo film (Phantom Thread), facendo anche un po’ lo scemo, ha messo le sue iniziali. Al suo protagonista narcisista (in cui forse proietta anche se stesso) farà dire: “Il matrimonio mi renderebbe falso, ed è l’ultima cosa che voglio”, infatti, sfrutta le sue modelle e Cyril, la sorella, le liquida. Fin quando incontra Alma, la loro relazione manca totalmente di carica erotica, finché Woodcock non modella un abito sul suo corpo, e le fantasie su di lei prendono vita. La musa, però, farà perdere al maestro il suo equilibrio. Agonia ed euforia. Agonia ed euforia dietro ogni creazione.L'amore tra i due protagonisti, è protettivo ma tossico, una continua prova di forza, un'alchimia magica che, per sopravvivere, chiede sia fatto tutto il necessario, anche sfociare in una connivente e consapevole perversione. Perché se è vero che ogni relazione funziona a modo suo, ce ne sono alcune, malsane, che trovano un equilibrio proprio nella condivisione di squilibri. Avvelenami e tienimi stretta la mano: io al cinema voglio sentirmi proprio così.

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