mercoledì 7 marzo 2018

Lady Bird di Greta Gerwig. 2017

Come François Truffaut nei suoi “I 400 colpi”, o come Bergman che ha realizzato film che erano diari della sua esistenza, anche Greta Gerwig esordice in questo suo primissimo lavoro con una storia autobiografica, tornando nella natia Sacramento, dove racconta la storia di una ragazza (se stessa) di 18 anni, ambientandola nel 2002 (quando appunto la regista aveva 18 anni). "Chiunque parli dell’edonismo della California non ha mai passato un Natale a Sacramento”. L’incipit del film già ci dice tutto, preannunciando quella voglia di fuga che tutti conosciamo nei nostri paesi natii, il tutto accompagnato dalle note avvolgenti di Jon Brion. Lady Bird è Christine,sedicenne che ha bisogno di spiccare il volo, di uscire dai confini della periferia di Sacramento; la sua priorità è quella di sprovincializzarsi e frequentare un college della East Coast. Vi innamorerete follemente di lei: è ormonale, scostante e sognatrice. In equilibrio precario. Come quando, in una delle scene più riuscite, quella iniziale in macchina con la madre, apre lo sportello e si lancia dall'auto in corsa, esibendo poi quindi nella prima parte del film un gesso rosa shock.
In bilico tra ciò che è e ciò che, invece, la società impone, cercherà quella vena un po'cool che però non le appartiene, sia in amiciia, sia in amore. Timothy Chalamet è il personaggio più riuscito in questa sua ricerca: sofferto adolescente borghese, con idee complottiste e anti-governative, naif anche lui, ma nel senso più profondo, senza via di scampo, già annoiato dalla vita. Lady Bird è cinema indie a 360° gradi, dove si parla della scoperta della sessualità, di omosessualità e depressione con un linguaggio esplicito e diretto. Se questo è il film d’esordio di questa reista che mi è coetanea, non vedo l'ora di vedere i prossimi.

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