domenica 16 dicembre 2018

Santiago, Italia, di Nanni Moretti. 2018

«Oggi viaggio per l’Italia e vedo che l’Italia assomiglia sempre di più al Cile, nelle cose peggiori del Cile. Questa cosa di mettersi in questa società di consumismo terribile, dove la persona che hai al fianco non te ne frega niente, se la puoi calpestare la calpesti. Questa è la corsa: l’individualismo».
Cile. Per la prima volta nella storia dell’intera America Latina, l’ingresso nel Palacio de la Moneda è di un presidente marxista. Medico, leader di Unidad Popular, amico e compañero di Pablo Neruda. Quel sogno «umanista e democratico» di Allende che ci ha reso appassionati, come quell' infuocato comizio di Salvador Allende in cui, profeticamente, annuncia che lascerà la Moneda «soltanto crivellato di colpi». Moretti ce lo ricorda, lo fa fra le case e le testimonianze di quei rifugiati che, all’indomani del golpe del ’73, qui trovarono asilo. Diplomatici, registi, artigiani, militari, dottori, asilados sulla propria pelle, che si commuovono e ricostruiscono la loro storia. Vera, di pancia, la dettagliata descrizione dello sforzo di dover scavalcare il muro dell’ambasciata italiana per chiedere asilo politico (per il quale, raccontano, ci si allenava apposta). Tutto condito con freschezza e leggerezza, anche quando una donna ricorda di aver chiesto a uno dei suoi aguzzini di smetterla di strapparle il nastro adesivo incollato sugli occhi, perché «magari mi ammazzano, ma almeno avrò ancora le ciglia!» Santiago, Italia parla di vita, non di morte. parla di dignità, di chi ha capito che doveva ricostruire e non piangersi addosso. Pellicola intelligente, sensibile, di taglio classico ma anche tagliente. Soprattutto quando, nella seconda parte, celebra i migranti cileni accolti come si accoglie l’essere umano, niente di più, contro l’Italia di adesso, quella del “prima noi”, di quelli che vogliono la corsia riservata e si sono messi a fare sistema. Di quelli che twettano e si fanno i selfie. Un ex-militare incarcerato, invoca imparzialità «perché lei non è un giudice né un prete», Moretti, fino a quel momento quasi assente, passa davanti alla macchina da presa e si rivolge all’interprete fuori campo: «Io non sono imparziale, lo traduca». Imparziale certo, ma avrei voluto sentir usare la parola "antifascismo", è per l'antfifascismo che i rifugiati cileni trovarono ospitalità in Italia; è in nome della comune lotta antifascista che tutti i partiti dell’epoca (dai repubblicani ai democristiani ai comunisti, come ricorda uno dei testimoni) decisero di non riconoscere il governo dittatoriale di Pinochet; ed è stato (anche) grazie a una diffusa cultura antifascista che i rifugiati godettero del supporto e della vicinanza della popolazione comune – e non solo nelle regioni “rosse” – nonostante quegli anni fossero tutt’altro che facili, anche nel nostro Paese. E viene nostalgia. Di un tempo che non ricordo, non conosco, in cui si era uniti, solidali. Umani.

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